Recensione: "Auschwitz è di tutti" Marta Ascoli

Buon pomeriggio Sognatori e ben ritrovati nel mio angolino libroso in cui oggi vi parlo di un libricino piccolo, ma intenso che racconta la storia di Marta Ascoli e della sua esperienza nel più famoso dei campi di concentramento che, dopo anni di silenzio ha deciso di raccontare affinché certe cose non vengano mai dimenticate perché
Auschwitz è di tutti, nessuno lo dimentichi
TITOLO: Auschwitz è di tutti
AUTORE: Marta Ascoli
EDITORE: Lint
PAGINE: 80
PREZZO: € 7,22
Nel 1944, a soli diciassette anni, l'autrice venne internata nei campi di sterminio di Auschwitz e Bergen Belsen. La sua testimonianza, scritta dopo oltre cinquant'anni di indicibile silenzio, ha la forza asciutta di un grido e di una invocazione: Auschwitz è di tutti, nessuno lo dimentichi.


La testimonianza di Marta inizia con una nota della donna in cui spiega cosa, dopo anni, l'ha spinta a raccontare la sua storia, a rivivere il dolore e le umiliazioni di quell'esperienza, ovvero il desiderio che nessuno dimentichi ciò che è stato, le persone che da quel campo non hanno fatto ritorno e l'orrore che l'odio nazista scatenò.

Vi dico subito che nonostante la brevità del testo, il racconto di Mara è toccante e doloroso. Leggere certe cose fa male, però è necessario.
Fa male vedere come la vita di una ragazza normale, una diciassettenne che forse non si rendeva neanche pienamente conto di cosa stava succedendo nel mondo intorno a lei, in pochi istanti viene stravolta.
Le SS le entrano in casa, portano via tutta la famiglia e si ritrovano chiusi nella Risiera di San Sabba, dove iniziano i primi orrori. Qui la famiglia viene divisa perché mentre la madre era cattolica, il padre era ebreo e quindi solo lui e la figlia vengono spediti al campo di concentramento di Auschwitz. I fratelli per fortuna non erano in casa e riescono a sfuggire all'orrore.
Da qui inizia il racconto del viaggio atroce, dove stipati in dei vagoni e costretti a stare in piedi senza riposo, i più deboli iniziano a morire, dell'arrivo al campo dove il padre, non ritenuto idoneo viene mandato alle "docce" da cui ovviamente non fece più ritorno.
Marta si ritrova così in un posto inospitale, senza conoscere la lingua, essendo l'unica italiana ebrea e in quanto tale mal vista dagli altri prigionieri che vedevano nel nostro popolo un alleato dei nazisti.
Il periodo nel campo è riuscito a provare la donna nel corpo e nello spirito, perché certe ferite rimangono, tanto che alla fine, a pochi giorni dalla liberazione, la donna cerca di suicidarsi. Contro ogni previsione a impedirglielo è l'arrivo di un soldato tedesco che la scopre vicino alla recinzione, eppure non le spara, anche se avrebbe dovuto.
Anche una volta usciti dal campo il ritorno a casa è lungo, in parte perché Marta debilitata, non sarebbe stata in grado di affrontare subito il viaggio, in parte perché i tedeschi alla vigilia della sconfitta provarono ad eliminare le prove di ciò che avevano fatto e gestire la mole di persone liberate dai campi per gli Alleati non è stato facile.

Da ogni parola di Marta traspare tutto il dolore che in quei mesi deve aver provato, dello strazio nel vedersi strappata dalla famiglia, nell'assistere all'uccisione del  padre, per non parlare di tutte le atrocità vissute nel campo.
Ai maltrattamenti dei nazisti, vanno aggiunti quelli mossi dagli altri prigionieri, che per migliorare la propria posizione si trasformavano nei più crudeli degli aguzzini, per non parlare della continua lotta per sopravvivere che faceva sì che per un pezzo di pane in più si fosse disposti a tutto.
Eppure anche in quel contesto non mancarono comportamenti altruisti che dimostrano il lato più nobile dell'animo umano, come quando le compagne di Marta, sapendo quanto lei amasse il latte, le cedettero la propria razione.
Un gesto così che all'apparenza può sembrare quasi niente, in quel mondo fatto di crudeltà, violenza e indifferenza diventa qualcosa di incredibilmente importante, di indicibilmente bello.

La testimonianza di Marta è forte e potente, il suo racconto tocca il cuore e suscita emozioni forti, tanto che quasi senza accorgermene mi sono ritrovata a piangere. Voci come la sua sono sempre più importanti, perché l'eredità dei sopravvissuti non vada persa. Queste storie vanno lette, diffuse e assimilate, affinché impariamo dai nostri errori e smettiamo di ripeterli.

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